Esiste una legge che imponga il trasferimento del militare nella sede dell’altro coniuge al fine di attuare il ricongiungimento familiare? In caso di trasferimento d’autorità di uno dei due coniugi è possibile chiedere il trasferimento dell’altro, se questi è un impiegato della pubblica amministrazione? Proviamo a dare qualche risposta: in questi giorni lo Studio legale degli avvocati Maiella e Carbutti, esperti in diritto amministrativo e militare, ha trattato il caso del ricongiungimento familiare tra due Ufficiali delle Forze Armate. La norma invocata dagli interessati, nella considerazione che uno dei due era stato da poco trasferito d’autorità è quella contemplata dall'art. 17 “disposizioni concernenti il trasferimento del personale delle Forze Armate e delle Forze di polizia” della L. 266 del 1999 rubricata "Disposizioni concernenti il trasferimento del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia".
LA NORMA E LA GIURISPRUDENZA PIU' SIGNIFICATIVA
La norma di cui all'art. 17 della L. 266 del 1999 stabilisce che "Il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui alla legge 19 maggio 1986, n. 224, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l’amministrazione di appartenenza o, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina".
Innanzitutto, occorre affermare in premessa che l'istituto di cui all'art. 17 della L. 266 del 1999 si configura come un vero e proprio diritto soggettivo. Infatti, già la Corte Costituzionale, a proposito della norma suddetta, ha in più riprese ribadito che "l’istituto del ricongiungimento è diretto a rendere effettivo altro diritto di rango costituzionale" (art. 29, secondo comma, Costituzione) ovvero il «diritto all’unità della famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana (C. Cost. sentenze n. 113 del 1998 e n. 28 del 1995).
Ma andiamo per gradi. Nell'esaminare la norma de qua emerge che il primo requisito ai fini della sua applicabilità è certamente la convivenza ovvero il medesimo luogo di residenza al momento del trasferimento dell'altro coniuge. Il venir meno di questo requisito all'atto di notifica del trasferimento ne potrebbe vanificare l'applicabilità. Tuttavia, tale requisito non è sempre vincolante, infatti i due coniugi ben possono vivere in sedi diverse se questa lontananza è giustificata dalle condizioni di lavoro che rendono di fatto impossibile ogni sorta di convivenza (Consiglio di Stato - Sezione Terza - sentenza n. 04634 del 11/09/2014).
Altro elemento è il fatto che l'istanza debba essere presentata presso l'amministrazione di appartenenza che deve provvedere a ricercare presso la sede di trasferimento del coniuge altre sedi opportune (Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 2 luglio 2004 – 23 novembre 2004, n. 7686).
In buona sostanza è possibile affermare che un eventuale rigetto basato su un’attività discrezionale della pubblica amministrazione, fortemente limitata nel caso in questione alla verifica dei requisiti di legge, debba ritenersi illegittimo.
RIMEDI ESPERIBILI
Per quanto sopra in caso di rigetto, l'amministrazione avrebbe comunque l'obbligo di chiedere all'istante eventuali osservazioni ai sensi dell'art. 10 bis della L. 241 del '90 essendo un procedimento di parte. Va quindi detto anche che tali osservazioni non vanno sottovalutate dato che nella maggior parte dei casi, se redatte nel modo giusto e con la giusta documentazione, potrebbero determinare un accoglimento dell’istanza.
Poi, in esito al rigetto definitivo gli unici rimedi esperibili sono un ricorso al TAR entro 60 giorni o, alternativamente al Presidente della Repubblica entro 120 giorni nel caso il rigetto sia stato formulato nei confronti di un dipendente appartenente alle amministrazioni di cui al comma 1 dell’art. 3 del D. Lgs. 165 del 2001. Mentre, se si tratta di un dipendente dell’Amministrazione Pubblica non ex. comma 1 art. 3, si dovrà adire il Giudice del Lavoro. In caso di assistenza legale al fine di una corretta valutazione del rigetto o del preavviso di rigetto contatta pure lo studio legale degli avvocati Maiella e Carbutti per un consulto o per ricevere la giusta e professionale tutela. Mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure via Telefono o WhatsApp ai numeri il 351- 8799894 (avv. Maiella) oppure 345 - 2238661 (avv. Carbutti).
Per saperne di più ti consigliamo anche il nostro MANUALE ESPLICATIVO DI DIRITTO MILITARE (Per maggiori info sul manuale e sui contenuti clicca qui)
Ti potrebbe interessare anche...
Guarda anche i nostri approfondimenti VIDEO